Dopo il viaggio nel mondo degli attori di tradizione con Il gergo del teatro, ecco una lunga sosta nella vita di uno dei più affascinanti tra loro: Ermete Novelli (1851-1919), che appartiene alla seconda generazione dei grandi attori, quella dei mattatori, ed è uno dei protagonisti più importanti e più seguiti del suo tempo, insieme a Eleonora Duse e a Ermete Zacconi. Lo si esalta perché spontaneo, lo si accusa di essere poco spontaneo, lo si biasima perché troppo spontaneo. Lo si ammira per la capacità d’improvvisatore, lo si condanna perché usa recitare a soggetto. È considerato, volta a volta con stima o con disprezzo, quale discendente dei comici dell’arte. Viene definito l’attore più proteiforme del cinquantennio a cavallo tra i due secoli e incolpato di recitare sempre allo stesso modo, qualunque sia il personaggio. Ma, diremmo con Rasi, attore, drammaturgo e storico italiano, che si trovò in scena da giovane con il primo Novelli: “Novelli è venuto su… da sé, come a un dipresso vengon su tutti i genj”.

Pubblicato da Guaraldi nella collana “Novecento riminese”, edito nel 1994.